- 26) COLLEPASSO, Koulopatze (5)

- 26) collepasso, koulopatze (5)

Collepasso s'impone all'attenzione dello storiografo e dell'appassionato di studi locali per l'originalità del nome e per la singolarità della sua evoluzione storica.

Il toponimo, nella forma Kulupatze, riferito ad un choraphion, ossia ad un minuscolo insediamento agricolo tipico del ripopolamento bizantino nel Salento intorno al X secolo, reso in coeva traduzione latina con «fundo Culopatzi», sotto la giurisdizione di un certo Riccardo Martello, è riportato in una pergamena greca del XII secolo, presumibile traslitterazione ellenofona di forme d'archivio latino-volgarizzate (Colopaci, Colopati, Colopacium), ricorrenti in diversi documenti pubblici dell’epoca.

Tali forme, possibile risultato di processi di abbreviazione e fusione di composti, quali (Ni)colaus (Ip)patius (casale di Nicola Ippazio o di Nicola di Ippazio) o più verosimilmente (Sancti Ni)colai pagi (villaggio di San Nicola), costituiscono la vera antica denominazione del sito e dell’antico abitato ivi esistente. Questa ipotesi linguistica è suffragata da numerose testimonianze storiche che attestano, nel perimetro urbano, l’esistenza di un’ampia superficie denominata appunto “San Nicola”, corrispondente all’area antistante il palazzo baronale e al suolo su cui insiste l’edificio della Scuola Primaria, nonché dal ritrovamento, nella medesima area, di fosse granarie e di resti abitativi con segni di antiche azioni distruttive. Significativa è anche la tradizione, ancora presente nella memoria dei più anziani, dell’esistenza di un antico abitato denominato “San Nicola”, distrutto in epoche remote da incursioni saracene, da cui l’appellativo “saracini” riservato ai Collepassesi.

Le suddette espressioni, nella loro evoluzione volgarizzata in Colopatzi, Colupazo, Colepazzo, Collepazzo, Colopazzo, sono pervenute sino a noi nella forma “Culupazzo” che non è, come erroneamente si crede, pronunzia dialettale dell’italiano Collepasso, bensì l'ultimo esito dell’originale denominazione del sito. L'attuale voce Collepasso, invece, si è affermata nell'Ottocento, frutto di un processo di ingentilimento linguistico dell'antico nome, latinizzato in forme comparse a partire dal tardo Cinquecento (Collepassij, Colyspassi, Collispassi). Essa ha ricevuto autorevole accreditamento dalla duplice lettura orografica e giuridica proposta dall’arciprete don Giuseppe Manta nel 1896, secondo il quale Collepasso deriverebbe da Collis passus, nel senso di luogo o di atto stesso del transito, o più originalmente significherebbe “Colle aperto al libero transito”, considerando passus participio passato del verbo pando (aprire), con riferimento all’abolizione dell’inviso jus pedatici.

L’esistenza del casale Colopaci/Colopati è attestata nel corso del 1200, in epoca angioina. Nel 1266 il casale Colopacii risulta assegnato dal re Carlo I D’Angiò al milite Radulpho de Zandini. Nel 1276, nella Cedula taxationis de distributione nove denariorum monete in Terris Iustitiaratus Terre Hydronti, redatta dalla Regia Curia di Napoli, compare il casale Colopacium, tassato per un’oncia, dieci tarì e quattro grana. Era, quindi, accertata sul sito la presenza stabile di una popolazione alla quale andava distribuita la nuova moneta in rapporto all’imposta calcolata proporzionalmente al numero degli abitanti.

Un secolo dopo, precisamente nel 1378, al tempo del Re Carlo di Durazzo, il casale Colopati risultava ancora inserito nell’elenco dei casali abitati, nettamente distinto da quelli diruti, ed era tassato con la somma di 10 once e 15 tarì. Considerato che per ogni oncia di tassa venivano rappresentate quattro famiglie e che ogni famiglia veniva considerata mediamente composta da cinque persone, si può calcolare che alle dieci once e 15 tarì (1/2 oncia) corrispondessero 42 famiglie e, quindi, circa 200 abitanti.

Manca invece ogni riferimento all’esistenza di un casale sul territorio nei documenti fiscali aragonesi. Infatti, nei Focularia Provincie Idronti del Liber focorum Regni Neapolis, un documento risalente al 1447 che riporta il nome di 123 località censite in Terra d’Otranto, non c’è traccia di Collepasso, così pure nei focularia dei decenni successivi. Tale assenza dimostra lo spopolamento del sito, essendo ben noto che i focularia erano gli elenchi di famiglie delle varie località, predisposti in epoca aragonese per l’applicazione delle tasse (fuocatico), applicate non pro capite ma per nuclei familiari, detti “fuochi”, da focolare domestico.

Lo spopolamento del territorio di Collepasso risale, pertanto, ad epoca precedente l’invasione turca di Otranto e del Salento del 1480-1481. Difficile stabilire cosa sia accaduto tra il 1378, anno in cui il casale risultava ancora popolato, e il 1447. Per analogia con il contemporaneo spopolamento di altri siti limitrofi, quali Sirgole, Pisanello, Piscopìo, Petrore, si possono ipotizzare, tra le cause del fenomeno, eventi distruttivi come epidemie, razzìe, azioni belliche in genere o l’abbandono del territorio da parte dei residenti per ragioni di sicurezza, con trasferimento in località maggiormente protette. Nel 1555 Collespatio compare tra i «luochi dissabitati» della Diocesi di Otranto, così come non risulta nel censimento francese del 1806. Nell’Atlante Sallentino del canonico Pacelli del 1807 è indicato come casale diruto.

Dalla metà del 1400 sino ai primi del 1800, per oltre tre secoli e mezzo, il territorio di Collepasso rimase quindi spopolato, ma ciò non significa assenza totale di presenza umana. Il feudo, infatti, continuò ad essere proprietà di varie dinastie feudali, le ultime delle quali furono i Massa, che lo acquistarono nel 1576, e i Leuzzi, che ne divennero titolari nel 1692. Sia gli uni che gli altri, per determinati periodi, risiedettero nel palazzo baronale. Alla fine del 1500, sul territorio è documentata la presenza di un cospicuo numero di masserie, che sarebbero divenute quindici nel corso del 1700. In esse vivevano famiglie di coloni o lavoratori stagionali, ma sul territorio non si costituì l’universitas, ossia una comunità giuridicamente e stabilmente organizzata.

Agli inizi del 1800, nel territorio, si ricostituì il nuovo villaggio di Collepasso per iniziativa dell'ultima baronessa, Maria Aurora Leuzzi Contarini, e del conte Bartolomeo degli Alberti di Enno, che richiamarono sui terreni del feudo contadini provenienti dai paesi limitrofi, mediante concessioni enfiteutiche di appezzamenti di terreno a condizioni vantaggiose e con altri incentivi in denaro per dissodare i terreni e avviare le colture e, soprattutto, donando piccoli lotti intorno al palazzo baronale con l'esplicito intento di favorire la costruzione di abitazioni.

Si andò così costituendo il nuovo villaggio di Collepasso, come frazione del Comune di Cutrofiano. Il 12 luglio 1835 si registrò la prima visita pastorale, effettuata dall’arcivescovo di Otranto mons. Vincenzo Andrea Grande. La popolazione del nuovo villaggio contava ormai circa 300 persone, mentre nel 1852 risultavano residenti in Collepasso 104 famiglie per un totale di 530 abitanti che, nel censimento del 1861, il primo dell’Italia unita, sarebbero divenuti 1067.

Nel 1855, con l’erezione della parrocchia, Collepasso otteneva l'autonomia spirituale, preludio di quella amministrativa che sarebbe stata sancita con specifica legge, la n. 319 del 6 giugno 1907, proposta dall'on. Antonio Vallone.

Il 10 dicembre 1911, il re Vittorio Emanuele III emanava il decreto che determinava l'estensione territoriale del feudo, dopo una lunga e sofferta controversia con l'ex capoluogo Cutrofiano. Il 18 febbraio 1912 veniva eletto il primo Consiglio comunale del nuovo Comune di Collepasso.

Tratto dal libro "Storia di Collepasso dalle origini all'autonomia" di O. Antonaci, S. Marra, Amaltea Edizioni, 1999

 

Il palazzo baronale

Il palazzo baronale, o castello, costituisce per Collepasso il richiamo più autorevole al proprio passato e con la sua vetusta imponenza alimenta, nell'immaginario collettivo, suggestive rievocazioni, dove storia e leggenda spesso si mescolano e si fondono. In realtà, poco ci è dato sapere sulle origini e sulle vicende che hanno caratterizzato la storia dell' austero edificio che si staglia sull'ampia spiazzo delimitato da via Puccini e da via Ugo Bassi.

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Con decreto del Ministro per i beni culturali ed ambientali, del 6 ottobre 1987, il castello o Palazzo Baronale di Collepasso è stato dichiarato l'immobile di "interesse particolarmente importante" ai sensi della Legge  1 giugno 1939 n. 1089, sulla tutela delle cose di interesse artistico e storico e, come tale, è stato sottoposto alle disposizioni previste dalla medesima legge. Nell'allegata relazione storico-artistica, a parte il recepimento di alcuni riferimenti storici sull'origine e la funzione del castello che, come già accennato, costituiscono materia opinabile perchè non avvalorati da effettivi riscontri documentari, vengono evidenziati gli elementi artistici più significativi della struttura che, naturalmente, sono individuati nei resti del paramento murario dell'antica costruzione fortificata con merlature, toro di coronamento e calditoie. Viene, inoltre, esibita una dettagliata descrizione del palazzo baronale, alla quale direttamente si attinge, considerata la chiara esposizione con cui vengono delineati gli ambienti costitutivi l'intera struttura.

Il castello, la cui facciata si estende per 50 metri, si articola in un grande corpo centrale, sviluppato su due piani fuori terra, e in due brevi "ali" laterali, a filo con il resto del prospetto. Vi si accede attraverso due grandi portali: quello a sinistra immette in un grande locale, appartenente alla costruzione più antica, voltato a botte e con pavimento in lastre di pietra di Cursi; quello di destra, invece, introduce in un vestibolo coperto di volte stellate di pregevole esecuzione che termina con un altro portale di forme simili a quelle dei primi due e che consente di accedere al cortile interno.

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Tutto intorno al cortile si articolano, poi, i vari locali seminterrati o terragni, voltati quasi sempre a botte e adibiti in origine a vari usi, a deposito di derrate alimentari, a palmento, a forno, ecc. Dal vestibolo d'ingresso, mediante una scalinata, si sale al piano nobile che si sviluppa solo sul lato occidentale e meridionale del grande quadrilatero. Gli appartamenti sono composti da diverse stanze di ampie dimensioni, coperte per lo più con volte a spigolo, tipiche dell architettura salentina, la cui esecuzione risale, appunto, ai lavori settecenteschi voluti da Oronzo Leuzzi.

Il palazzo baronale, che come giustamente rileva la Soprintendenza "costituisce l'episodio più significativo di architettura civile di tutto l'abitato di Collepasso", merita di essere salvaguardato da ogni forma di impropria generica fruizione, fissando destinazioni consone alla natura e alla dignità di bene storico e culturale che lo contraddistinguono e avviando una capillare opera di sensibilizzazione, finalizzata a potenziare nella coscienza collettiva, in particolare delle giovani generazioni, il rispetto e l'attenzione per un monumento che rappresenta uno dei pochi segni distintivi del nostro passato.

 

La Cappella della Santissima Trinità o dello Spirito Santo

La cappella della Santissima Trinità o dello Spirito Santo, che è il primo luogo di culto del paese e risale, stando alle imprese nobiliari scolpite nel basamento dell'altare della Madonna delle grazie, al 1600; l'attuale forma è risultato dell'intervento di ristrutturazione realizzato nel 1870.

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L'interno della Cappella è a croce greca, con bassa cupola emisferica sostenuta da quattro tozze colonne e quattro arcate, con volta a botte, nelle quali sono collocati i due altari e due ingressi. In posizione frontale rispetto all'ingresso principale, invertendo l'ordine preesistente, fu costruito l'altare maggiore, mente l'altare della Madonna delle Grazie fu spostato sulla parete orientale della Chiesa, di fronte al ingresso da via Ugo Bassi. Su entrambi gli altari furono collocate due grandi nuove tele, in sostituzione degli antichi dipinti, raffiguranti rispettivamente la Santissima Trinità e la Vergine delle Grazie col Bambino. Secondo le disposizioni della contessa Elisabetta Pagan, la Chiesa fu dotata anche di un piccolo vano-sacrestia, ricavato adattando un locale adiacente sul fianco destro della facciata.

La Cappella della Santissima Trinità è stata utilizzata per lungo tempo anche come luogo di sepoltura, secondo una prassi consolidata presso le comunità cristiane; a testimonianza di tale uso risultano tuttora  esistenti, in essa, alcune tombe con relative iscrizioni incise sulle coperture lapidee.

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Oltre alle suddette tombe, al centro del pavimento esiste una grande lastra tombale in marmo che reca la seguente iscrizione:fuissent quasi non essent de utero translati ad tumulum

Opinione comune è che si tratti di un ossario, ma il significato dell' epigrafe rimanda chiaramente alla sepoltura di neonati morti o di bambini deceduti in tenerissima età.

Dal 1985 la cappella della Santissima Trinità e stata sottoposta tutela da parte del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali ai sensi della legge 1 giugno 1939 n. 1089, sulla tutela delle cose di interesse artistico e storico. Nelle motivazioni del decreto si evidenzia che la Cappella "costituisce uno dei pochi episodi di architettura sacra, tuttora esistenti a Collepasso, dotato di interesse artistico per il gradevole e composto disegno neoclassico del prospetto. Trattasi di un organismo architettonico ottocentesco, sorto probabilmente su una più antica cappella, che conserva al suo interno arredi sacri certamente anteriori, quale ad esempio, l'altare del braccio destro, realizzato nelle forme tipiche del Barocco salentino. Al sobrio disegno della facciata, ad ordine unico, con paramento liscio, serrato agli angoli da paraste e concluso in alto da un timpano triangolare, corrisponde l'equilibrata articolazione interna a croce greca, con bracci poco profondi e calotta di copertura della crociera, raccordata da pennacchi alle arcate sorrette da basse e robuste colonne".

 

 



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