- 12) GALATINA, NATA PER MANO DEI GRECI (18)

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Le origini

Origini e Storia della Città

A 20 km a sud di Lecce si trova Galatina, città per regio decreto fin dal 20 luglio 1793.  Delle sue origini greche, testimoniate anche dal nome e dallo stemma, restano poche tracce, e gli studi di ricerca storica sono avviati in tale direzione. La storia, documentata e conosciuta ai più, inizia nel XIV secolo, al tempo degli Angioini, quando Carlo D'Angiò assegna il feudo di San Pietro in Galatina prima alla nobilissima famiglia Del Balzo e poi al conte di Nola, Niccolò Orsini, marito di Maria Del Balzo. Durante il periodo orsiniano Galatina si estende territorialmente, tanto da essere cinta nel 1355 da nuove mura, e gode di numerosi privilegi. Il periodo di maggiore splendore di tale politica si ha con Raimondello Orsini Del Balzo, il quale, per i servigi resi al Papa Urbano VI in difesa della fede, ottiene il permesso per la costruzione della Chiesa di S. Caterina con l'annesso convento e ospedale.

La bellissima chiesa, di rito latino, contrapposto al rito greco esistente in loco, ed affrescata da maestranze di scuola veneta e toscana, è oggi Monumento Nazionale.(1)

L'ospedale invece si arricchisce nel tempo di lasciti e donazioni di feudi che lo portano al centro di continue liti tra i Francescani prima e gli Olivetani poi, da una parte, e l'Università di Galatina dall’altra, che pretende di esercitare il suo controllo.

Agli Orsini Del Balzo succedono i Castriota Scanderberg che con la loro politica di vessazioni e tasse non riscuotono molta simpatia nei galatinesi che li osteggiano apertamente. Accanto a questo aspetto negativo che porta ad un impoverimento economico della città, fiorisce invece nel palazzo ducale da loro costruito e tuttora esistente, una vita di corte elegante e ricca culturalmente da non avere eguali in Puglia per quel periodo. Ai Castriota succedono i Sanseverino, gli Spinola e i Gallarati-Scotti di Milano tutti mai presenti sul posto se non per brevi periodi. Così la compattezza civica che si era creata fin dal tempo dei Castriota ha modo di farsi valere e di ottenere diversi privilegi.

La vita seicentesca e settecentesca è quella di una città tranquilla e non segnata da particolari presenze e attività culturali. Il patriziato riversa la sua ricchezza nell'edilizia con la costruzione di palazzi gentilizicon balconi, portali e stemmi che ancora oggi abbelliscono la città tanto da considerare il centro storico galatinese uno dei più interessanti del Salento. Anche l'architettura religiosa, come quella civile, fa mostra della cultura tardo-barocca che ha un'impronta tutta particolare nella penisola salentina. La presenza di materie prime, quali la pietra leccese, il cuoio e il legno che si prestano per la loro duttilità alla lavorazione artigianale e artistica, fa nascere in loco scuole di intagliatori, decoratori e scalpellini. Si giunge così alla fine dell'antico regime e dell'età borbonica. Con il periodo francese la gestione borghese porta all'annessione di diversi feudi tanto da raddoppiare l'intero distretto. La trasformazione della ricchezza, da privata in pubblica, diventerà idea sociale solo con l'avvento di Garibaldi e con l'aiuto di una borghesia illuminata e liberale. Il resto è storia attuale. (A. Romano)


(1) Il riconoscimento e la classificazione di Monumento Nazionale sono avvenuti nel corso del secolo scorso a seguito di specifico incarico e apposita relazione al Ministero della Pubblica Istruzione del nostro concittadino prof. Pietro Cavoti, componente della Commissione incaricata di classificare i monumenti esistenti in Italia all’indomani dell’Unità e degni di essere dichiarati, per la loro importanza storica e artistica, monumenti nazionali. 1870-1871 sono gli anni della relazione al Ministro e della richiesta allo stesso di intervento per la salvaguardia dei monumenti della provincia di Lecce, tra cui la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina (Cavoti e Castromediano). Nel 1877 il nostro è già stato dichiarato monumento nazionale (In un manoscritto del Cavoti, conservato nel Museo Civico di Galatina e rintracciabile al vecchio numero d’inventario 3437 ‘S.Caterina, studi e relazioni di P.Cavoti’, a p. 28 si legge: "S.Caterina. Per memoria de fatti odierni intorno al primo restauro dopo essersi dichiarato monumento nazionale. Trascritta 1877". Questa annotazione si trova sul recto di un fascicolo dell’arch. Sambati in merito al restauro di S.Caterina, datato 1875.

Cenni storici

a cura del Prof. Luigi Rossetti

Galatina si trova a 20 km a sud est di Lecce.

Il suo territorio, a circa 78 m. sul livello del mare, si estende per 8193 ettari e comprende le frazioni diNohaCollemeto e Santa Barbara, tre localita' importanti per la produzione agricola.

Centro di circa 29.000 abitanti, si presenta al visitatore vivace per le sue attività e fiera del suo passato e delle sue bellezze artistiche ed architettoniche.

Il 20 luglio 1793, con decreto di Ferdinando IV di Borbone, re di Napoli, fu elevata al rango di "civitas".

La sua storia è documentata fin dal 1188: in un manoscritto viene citata "Maria, filia Nicolai de Papadia casalis Sancti Petri in Galatina". Ma, senza dubbio, già prima di allora doveva essere un centro di lingua greca che, "se non perde la sua origine nell'oscura lontananza de' tempi, ha con molte altre città di questa provincia incerta ed antica la sua fondazione". [B. Papadia, "Memorie storiche della città di Galatina nella Japigia", Napoli, 1792].

Grazie agli studi condotti dal Prof. Andrè Jacob sappiamo per certo che, nel 1200, Galatina era un centro importante di cultura, lingua e rito greco. Al tempo stesso le funzioni religiose erano celebrate anche in rito latino, diffusosi in tutta la Terra d'Otranto ad opera dei Normanni, che avevano occupato il Salento a partire dai primi anni dell'XI secolo.

Le chiavi pontificie presenti nello stemma di Galatina testimoniano la scelta di questa città, da parte dei Papi, quale centro propulsore di latinità nel Salento proprio nell'intento di contrastare la presenza di cultura greca e il rito religioso bizantino.

Le chiavi furono concesse per insegna a questa città dal Pontefice Urbano VI che, tenuto prigioniero a Nocera, fu liberato dai Galatinesi guidati da Raimondello Orsini del Balzo – come ci ricorda lo storico Silvio Arcudi: "Clavium insigna oppido Divi Petri Galatinorum concessa sunt a Pontifice Urbano VI, ob Britannorum direptionem, quam intulit ibi" ("Le insegne delle chiavi furono concesse a San Pietro dei Galatini dal Pontefice Urbano VI, per la vittoria riportata sui Britanni").

Le chiavi furono poi sormontate da una corona per aver Galatina, meglio di altre città, resistito alle incursioni dei nemici di Alfonso II, nel 1484.

Il Sovrano con un privilegio diretto a Galatina scrisse: "Ut praeter privilegia plurima vobis concessa, Divi Petri claves suique capitis corona pro vestris publicis insigniis esset" ("Oltre a moltissimi privilegi a voi concessi, [stabilimmo] che come pubbliche insegne le chiavi di San Pietro fossero sormontate dalla corona regia").

L'arciprete Marziano – erudito poeta di Galatina – scrisse questo distico al riguardo:

"Pontifice a Summo claves, a rege coronam

Tradita pro meritis sunt tua signa tuis".

("Come tue insegne le chiavi ti derivano dal Sommo Pontefice, la corona dal Re, per i tuoi meriti").

Lo stemma più antico lo ritroviamo scolpito sul frontespizio del "Sedile", in via V. Emanuele II, nonché in un affresco quattrocentesco nella Basilica di S. Caterina d'Alessandria e nel frontespizio miniato del "De arcanis catholicae veritatis …", Venezia, 1518 di Pietro Colonna detto il Galatino, opera che si trova nella Biblioteca Civica "P. Siciliani": campo azzurro, chiavi una d'oro e una d'argento decussate, con i congegni rivolti all'esterno verso l'alto, e gli anelli legati da un cordone.

Nella seconda metà del '500, quasi a voler sottolineare le origini greche della città, fu aggiunta, sotto le chiavi, una civetta coronata in maestà: era l'animale sacro ad Atena, dea della sapienza.

Tutto lo scudo è sormontato da una corona ducale.

La tradizione locale vuole che il Cristianesimo sia stato qui introdotto dall'Apostolo San Pietro in viaggio da Antiochia verso Roma.

In ricordo di questo evento la città fu chiamata per secoli "San Pietro in Galatina".

Con l'Unità d'Italia le fu ridato il suo nome originario.

San Pietro in Galatina era uno dei feudi che costituivano la Contea di Soleto, per cui, fino ad un certo periodo, i feudatari Conti di Soleto furono anche utili Signori di San Pietro in Galatina fino a quando, poi, questo centro prese il sopravvento sugli altri.

Caduta la dinastia normanna e poi quella sveva, la Contea di Soleto, e quindi anche San Pietro in Galatina, fu concessa da Carlo I d'Angiò ad Ugo del Balzo, venuto al suo seguito dalla Francia. Alla morte di Ugo, avvenuta nel 1308, gli succedette il primogenito Raimondo che ampliò molto la città, la cinse di mura e concesse vari privilegi ai cittadini: "Le mure prime che si fecero in Santo Pietro, furo fatte nel 1334 et nel medesimo anno si murò Galatòna, Solìto, et Sternatìa". [F. Giovannini Vacca, "Un'inedita cronaca galatinese del '500"].

Il nome dei del Balzo, e poi degli Orsini – del Balzo, si intreccia e si avvicenda col nome di Galatina, cosicché la loro storia diventa la storia della città:

"Furono le istituzioni degli Orsini – del Balzo a far da fermento allo sviluppo graduale che Galatina, pur con alti e bassi, ha registrato dal trecento ad oggi. Il primato che questa città segna nella imprenditoria e nella economia in genere, su tutta l'area del leccese meridionale, trova il suo abbrivio nell'età di Raimondello Orsini del Balzo". [A. Antonaci, "Galatina Storia e Arte", Galatina 1998].

Poiché alla sua morte Raimondo non lasciò figli, in quanto gli erano premorti tutti, destinò i suoi feudi al nipote, ex sorore Sveva, Raimondello Orsini (+ 1406) il quale aggiunse al proprio il cognome del Balzo e inquartò l'arma degli Orsini in quella dei del Balzo.

Nel 1386 sposò Maria d'Enghien Brienne (+ 1446) dalla quale ebbe quattro figli. Il primogenito Giovanni Antonio gli succedette, poi, nel principato.

Al principe Raimondello Orsini del Balzo si deve la costruzione, sul finire del trecento, della straordinaria chiesa dedicata a S. Caterina d'Alessandria, luogo di culto ed insieme centro irradiatore della cultura artistica in Puglia negli ultimi secoli del Medioevo. Accanto alla chiesa sorse un convento e un ospedale, attualmente sede del Municipio.

La presenza degli Orsini del Balzo ed il potere sempre crescente di quello che diventerà lo "Staterello di Santa Caterina" [B. Perrone, "Neofeudalesimo e Civiche Università in Terra d'Otranto", Galatina 1978] danno un notevole impulso alle attività economiche della città. Come pure, la presenza della Basilica cateriniana sarà sempre il punto di riferimento di tutto il processo di sviluppo di Galatina, sia in senso religioso sia in quello culturale, economico, sociale.

Il tempio cateriniano di stile romanico pugliese, a tre navate divise da due ambulacri, è il monumento più prezioso di questa città. Monumento nazionale fin dal 1886, è un vero gioiello architettonico ed artistico.

La facciata, dall'ampio respiro, è tricuspide ed ha tre portali a tutto sesto ornati da intagli in pietra leccese. Il portale principale ha un protiro, ridotto ora a due colonne che poggiano su due leoni stilifori e sorreggono due aquile. In origine il protiro si componeva di quattro colonne e tutta la facciata riposava maestosa su un sagrato distrutto alla fine dell'Ottocento, ma che per volontà dell'Amministrazione Comunale sarà ripristinato. I portali minori sono più semplici e più bassi, ma anch'essi ornati da fasce d'intagli e fregi. Sull'architrave del portale sinistro è ancora leggibile la data di consegna della chiesa all'Ordine Francescano: 1391.

Nella sezione superiore della facciata si apre un magnifico rosone che dà luce all'interno.

La navata centrale, più larga delle altre, si slancia solenne verso l'alto, sovrastando di molto le navate minori. Da questa si accede agli ambulacri e da essi alle navate minori per mezzo di tre arconi a sesto acuto ribassato.

Fasci di colonne polistili dividono la navata centrale in tre campate, mentre le altre due – il presbiterio e il coro a forma ottagonale – fanno parte a sé in quanto sopraelevate di circa un metro dal piano della chiesa.

Le colonne reggono i costoloni che, innervandosi nella volta e congiungendosi nella chiave, producono la divisione a vele.

Dopo la morte di Raimondello Orsini del Balzo la moglie Maria d'Enghien sposò il re Ladislao d'Angiò – Durazzo divenendo, così, regina di Napoli. Fu lei a commissionare gli affreschi che fanno della Basilica cateriniana un'immensa pinacoteca. Il recente accuratissimo restauro ce li ha restituiti in tutta la loro quattrocentesca bellezza.

Le pitture, con l'arte magica del colore, narrano ed interpretano passi dell'Antico e del Nuovo Testamento, la vita di Gesù, della Madonna, di S. Caterina, oltre ad innumerevoli figure di Angeli, Evangelisti, Padri della Chiesa e altri Santi.

In Santa Caterina lavorarono artisti di scuola napoletana, maestri umbro – marchigiani ed emiliani, seguaci della scuola giottesca, ma sono riscontrabili tendenze toscane degli inizi del '400, spagnolo – fiamminghe, siciliane e l'eredità estrema della pittura bizantina ad opera di artisti locali.

Gli ultimi restauri hanno avuto un carattere globale, poiché si è intervenuti sulla copertura, sono stati sostituiti i vecchi infissi alle finestre, si è installato un nuovo impianto di illuminazione che crea atmosfere di grande suggestione; si è proceduto al restauro del ciclo pittorico del chiostro seicentesco, del campanile, dello splendido armadio – reliquiario del XVII secolo, nonché dell'antico refettorio dove è stato allestito un museo con i reperti e gli oggetti preziosi che nel corso dei secoli hanno formato il tesoro della Basilica.

Altri gioielli d'arte e di storia sono custoditi all'interno dell'antica cinta muraria, di cui restano tre imponenti porte: Porta Luce ad ovest, con lo stemma e una iscrizione che ricorda la sua elevazione a Città (1793); Porta Nuova a nord, sopra la quale si vede la statua di San Pietro; Porta Cappuccini ad est, con una iscrizione che ricorda un restauro eseguito nel 1803.

All'interno il borgo antico offre splendidi scorci di palazzi barocchi, fra corti e vicoli che si alternano a larghe strade dotate ancora dell'originario basolato dal fascino indescrivibile. E poi chiese e cappelle, conventi e monasteri costruiti, dentro e fuori le mura, dalla fine del Quattrocento via via fino al Settecento.

Di notevole importanza è la maestosa chiesa dei S.S. Pietro e Paolo che, con la sua monumentale facciata barocca, si erge sull'omonima piazza ed offre al visitatore uno spettacolo d'incomparabile scenografia. Eretta nel 1335, riedificata nel 1633 e terminata nel 1770, questa chiesa conserva in una cappella laterale un masso calcareo dove, secondo la tradizione, sedette San Pietro per riposarsi prima di giungere in città. Dalla contrada San Vito, dove si trovava, fu fatta trasferire qui nel 1670 da Mons. Adarzo de Santander, arcivescovo di Otranto, il quale aveva scelto Galatina come sua residenza abituale, incrementandone lo sviluppo culturale e sociale.

All'interno della chiesa e della sacrestia sono conservate numerose, preziose tele di epoche diverse.

A pochi passi dalla Chiesa Madre, si trova la Cappella di San Paolo, mitico luogo dove fino a pochi decenni fa, tra il 28 e 29 giugno, festa dei Santi Patroni di Galatina, giungevano da tutto il Salento le "tarantate", tra scene di isteria generale, secondo rituali magico – arcaici, per bere l'acqua del pozzo ritenuto miracoloso e per impetrare dal Santo la guarigione.

Ora il fenomeno è del tutto scomparso. Rimane però un crescente interesse da parte degli studiosi per i suoi aspetti antropologici, storici, medici, psicologici, coreutico – musicali. Sono innumerevoli, dopo le ricerche condotte da Ernesto de Martino, gli studi e le pubblicazioni sul tarantismo, come pure sono frequenti i convegni nazionali ed internazionali.

La "pizzica" e tutto il repertorio musicale della tradizione salentina sono tornati prepotentemente in auge in tutta Italia e anche all'estero. Sono tantissimi i gruppi musicali che coltivano questa forma di danza e di canti che riescono a coinvolgere un pubblico sempre più vasto.

Di notevole interesse sono anche la chiesa dei Battenti, la chiesa e il Monastero di S. Chiara, la chiesa abbaziale degli Olivetani, la chiesa di S. Maria delle Grazie con il convento dei Domenicani, la chiesa e il convento dei Carmelitani, quella dei Cappuccini, la chiesa dell'Addolorata, la chiesa delle Anime.

A Galatina vi sono tre cripte basiliane:

Santa Maria della Grotta a nord – est;

Sant'Anna in c.da Piani;

Santa Maria della Porta in c.da Pisanello.

Esse costituiscono un itinerario a sé stante per chi voglia scoprire le testimonianze lasciate dai monaci Basiliani che, fin dal IX secolo, da Bisanzio vennero in Puglia, Lucania e Calabria, per sfuggire alle persecuzioni.

Galatina possiede la Biblioteca comunale "P. Siciliani" che, per i suoi numerosi incunaboli e cinquecentine e per il suo cospicuo patrimonio librario, è annoverata tra le più importanti biblioteche della regione. Fu inaugurata il 5 febbraio 1905 nell'ex convento dei Domenicani, dove si trova tuttora.

Recentemente si è arricchita di una moderna sala multimediale concepita come un complesso di servizi che ampliano l'offerta della Biblioteca Siciliani e come luogo di promozione della cultura informatica e multimediale.

Nello stesso complesso dei Domenicani si trova il Museo civico "P. Cavoti", riaperto al pubblico nel 1998.

 

Nelle sue sale sono raccolti materiali artistici, archeologici, epigrafici, documentari che attestano le vicende attraverso le quali la Città si è resa presente lungo i secoli nella storia della civiltà salentina e nazionale.

Di rilievo gli spazi dedicati alle opere dello scultore galatinese Gaetano Martinez e all'artista e ricercatore Pietro Cavoti.

La Fiera di Galatina ha più di mezzo secolo di vita. Nacque nel 1949 come "Mostra – Mercato" per rilanciare i prodotti dell'agricoltura e dell'artigianato locali.

Entrata, poi, nel calendario delle fiere nazionali, si è andata sviluppando sempre più.

Oggi è una società per azioni che vede insieme Regione, Provincia, Comune, Camera di Commercio ed azionisti privati.

Il quartiere fieristico sorge a nord della città ed ospita, durante tutto l'arco dell'anno, numerosi appuntamenti che richiamano operatori economici di tutta Italia e moltissimi visitatori.

Basilica di Santa Caterina di Alessandria (sec. XIV)

La splendida chiesa, dichiarata Basilica Minore Pontificia nel 1992 , affaccia su piazza Or

Ubicazione e Storia

Fatta realizzare da Raimondello Orsini del Balzo ed iniziata nel 1383(1), poteva dirsi già compiuta nel 1391(2). Quest’ultima data è incisa sull’architrave della porta laterale della chiesa, posta alla sinistra dell’osservatore. 

E furono costruiti anche il monastero Orsiniano, che non è più quello che noi vediamo oggi ricostruito a ridosso della chiesa, e l’ antico Ospedale, con diritto di patronato, attualmente denominato Palazzo Orsini e adibito a sede del Municipio. 

Stile 
Lo stile della Basilica orsiniana, una delle chiese più caratteristiche dell’Italia meridionale, sia per la sua architettura e sia per i suoi affreschi, è costituito da una rara commistione di diversi elementi dello stile Romanico e del Gotico, i quali, senza mai alterarsi in una completa fusione, sono sempre strettamente collegati e connessi insieme: è il romanico pugliese, che trae la sua origine dal Romanico, con un qualche influsso bizantino, senza mai dimenticare la contemporanea presenza del Gotico, con influssi e ascendenze normanni. (3)

Facciata 
La facciata, dalla linea di un purissimo romanico, è tricuspide con tre portali splendidamente ornati da intagli in pietra leccese, in doppia fascia su quelli laterali e su tripla fascia su quello centrale. La cuspide centrale sovrasta di molto quelle laterali. Al fastigio, sotto il cornicione, essa è ornata conarchetti rampanti ciechi a tutto sesto trilobati. Lo stesso motivo decorativo adorna anche le cuspidi minori e ricorre sulle pareti superiori della navata maggiore e sulla parete della navata minore di destra. Su quella di sinistra esso è scomparso a motivo della nuova costruzione seicentesca del convento addossato alla chiesa. Il portale principale ha un pròtiro, ridotto ora a due colonne che poggiano su due leoni stilofori e sorreggono due aquile. In origine il pròtiro si componeva di quattro colonne e il sagrato, con un declivio da uno a cinque gradini davanti alla chiesa, era delimitato da quattro esili tronconi di colonne marmoree che, avanzi del primitivo convento, erano state poste a uguale distanza tra loro a due metri dalla facciata (come si può vedere nell’opera di P.Cavoti). Sull’architrave del portone centrale, il bassorilievo di Gesù assiso tra i dodici Apostoli richiama la decorazione dei sarcofagi romani del IV secolo. 

La facciata centrale è divisa orizzontalmente in due sezioni poste su piani differenti: la superiore rientrante e la inferiore sporgente. La sezione superiore, ornata con archetti rampanti, ha tre acroteri: una croce al centro, San Francesco d’Assisi, a destra, e San Paolo Apostolo, a sinistra. Al centro il magnifico rosone che illumina l’interno. Anche questo è contornato da due fasce riccamente intagliate e sormontato da un mezzo architrave aggettante di pietra finemente intagliata. Dodici esili colonnine, a guisa di raggiera, partendo dall’esterno si fermano intorno ad un cerchio più piccolo che racchiude l’arma dei Del Balzo, a vetri colorati legati in piombo. Le cuspidi minori, un po’ rientranti, sono ornate come la maggiore, con archetti rampanti, ed hanno due grandi occhi ciascuna: i maggiori, verso l’esterno, ed i minori, dalla parte interna, collocati in asse con i portali laterali. 

Seguendo l’esame esterno dell’edifico, dopo le tante caratteristiche che ci riportano al romanico, ecco alla fine la ‘testa’ della grande nave, una grande edicola di forma ottagonale che ne costituisce l’abside, in uno stile dalla purissima linea del gotico-pugliese. Quest’ultima campata, o coro, viene aggiunta al restante corpo della Basilica da Giovanni Antonio Orsini del Balzo, intorno al 1460. Questa parte che doveva servire al grande edificio "quasi di lanterna per renderlo luminoso" si differenzia molto anche architettonicamente dal restante corpo di fabbrica. E’ costruita su una base di forma ottagonale, con sette grandi finestre a strombo interno ed esterno, cinque delle quali sono aperte e due murate. Fasci di colonne polìstili, polianulari suddividono il perimetro interno in otto lati. Le grandi luci delle finestre (m. 7 di altezza) si aprono sui muri perimetrali, divisi dalle colonne, e poggiano su mensole con fregi a piccoli archi. Lo stesso motivo ornamentale degli archetti trilobati è ripetuto al vertice. La cupola esterna è nascosta da una balaustra traforata cuspidale, conservata in parte; e la sua copertura è a scalea. Sempre all’esterno le grandi finestre sono sormontate dalle armi delle famiglie: del Balzo, Orsini, d’Enghien, Colonna e Clermont, inquartate. 

Interno 
L’interno della Basilica, di grandi proporzioni e “maestoso” come ha detto il De Giorgi, è a cinquenavate,terminanti tutte con un’abside, con le due intermedie adibite ad ambulacri. La navata centrale, lunga 50 metri, dalla porta al coro, si slancia verso l’alto, essendo molto più larga e sovrastando di molto le navate laterali minori. Da questa, centrale, si accede ai deambulacri e da essi alle navate laterali per mezzo di tre grandi archi a sesto acuto, ribassato. Fasci di sette colonne polìstili dividono la nave centrale in tre campate, mentre il presbiterio e il coro absidale fanno parte a sé. Il vivo dei quattro angoli di ogni campata è smussato da fasci di tre colonne ciascuno. La colonna più sporgente del fascio di sette, di diametro maggiore delle altre, regge l’arco divisionale che poggia su dei capitelli molto belli; le seconde, prive di capitelli, sorreggono dei costoloni ornamentali; le altre due che seguono, sormontate da capitelli, reggono i costoloni che, innervandosi nella volta e congiungendosi nella chiave, ne producono la suddivisione a vele; le ultime due, aderenti alle pareti, reggono altri costoloni che seguono la linea esterna della parete. La quarta campata, corrispondente all’attuale presbiterio, costituiva l’abside della chiesa costruita da Raimondello ed era sopraelevata rispetto al restante piano della chiesa. Quattro colonne anulari, sormontate da capitelli, sorreggono i costoloni delle vele, mancando quelli ornamentali. Tutte queste superfici sono ricoperte dai cicli pittorici dei tantissimi affreschi. 

Gli Affreschi 
L’interno è tutto una pinacoteca. Pareti, pilastri, archivolti e volte: affreschi dappertutto, i cui lavori, opera della committenza di Maria d’Enghien, proseguirono per tutta la prima metà del ’400. Per essi si veda in specifico, oltre a tutti gli altri che pure ne hanno trattato, il volume di mons. Antonaci, Gli Affreschi di Galatina, Milano, Maestri, 1966. Qui essi sono suddivisi nei seguenti cicli pittorici, prendendo come guida la loro collocazione, topica, partendo dall’ingresso centrale e procedendo verso l’abside:ciclo dell’Apocalisse, sulle pareti e sulla volta della prima campata; ciclo della Genesi, sulle pareti della seconda campata; ciclo ecclesiologico, sulla volta della seconda campata; ciclo cristologico, sulle pareti della terza campata; ciclo angelologico, sulla volta della terza campata; ciclo agiografico, soprattutto sulle pareti e sulla volta del presbiterio, ma anche altrove, sparso un po’ in tutta la chiesa; ciclo mariologico, soprattutto sulla volta e sulle pareti della navata minore destra ed anche, un po’, in tutta la chiesa. A questi cicli di affreschi, occorre aggiungere la rappresentazione delleVirtù (le quattro cardinali, le tre telogali più la Pazienza), tutte nelle vele della prima campata. E poi, inoltre, gli affreschi del coro e dell’abside, quelli dell’ambulacro destro e quelli della piccola abside sulla parete esterna della navata minore destra; e, infine, quelli dell’ambulacro sinistro e quelli della navata minore sinistra. In tutti questi affreschi si sente quasi un’eco della lezione francescana del Poverello d’Assisi: la storia dell’uomo intesa come storia dell’Amore di Dio. 
Per la vastità dei cicli pittorici di tali affreschi, la Basilica di Galatina è seconda solo alla Basilica di San Francesco d’Assisi. 

Arredi Sacri 
Il Tabernacolo 
La chiesa è ricca anche di arredi sacri, in legno, tra i quali è da ammirare il Tabernacolo, di fra’ Giuseppe da Soleto, il più grande e più mirabile della provincia riformata di S. Nicolò. Nessun dubbio sulla sua autenticità, soprattutto nella considerazione che sia nelle grandi linee e sia in molti particolari esso è molto simile ad un altro tabernacolo, che lo stesso Frate eseguì nel 1667, per il tempio di S. Croce di Palazzo, a Napoli, e che oggi si trova nella chiesa francescana di S. Giovanni del Palco in Lauro, a Taurano, in provincia di Avellino. L’esemplare di Taurano, come ancora di più il nostro di Santa Caterina, mostra evidenti accordi di intaglio e di pittura (eseguiti, in perfetta intesa di intenti e di comunità di vita, da fra’ Giuseppe da Soleto e da fra’ Giacomo da S. Vito), con la replica di alcuni soggetti pittorici: Gesù benedicente, con il globo in mano, sul prospetto principale, e San Francesco d’Assisi e Sant’ Antonio di Padova, nei riquadri laterali. La collaborazione tra i due artisti, anche per quanto concerne questo tipo di opere, a Galatina, è ormai in atto. E qui, fra’ Giuseppe da Soleto, preparò la sua "opera d’arte pregevolissima", come la qualificò il De Giorgi nel 1884, per l’altare principale della chiesa di Santa Caterina, dove essa è rimasta fino agli inizi del XX secolo. Il Tabernacolo si compone di tre ordini architettonici sovrapposti, con un basamento ed una cupola. Fregi, pannelli e cornice sono tutti riccamente intagliati. Sono, inoltre, degni di nota i pannelli del primo piano con Adamo ed Eva sotto l’albero del peccato, con il serpente intorno al tronco; al secondo, l’albero, è trasformato nel segno della redenzione, la Croce, intorno alla quale si avvolge una vite lussureggiante.Dopo quasi un secolo di abbandono quest’opera monumentale è stata recuperata con un prezioso intervento di restauro e attualmente, dal 1997, si trova collocata nella parte absidale della navata sinistra della chiesa, avendo altresì recuperata la sua primeva funzione di custodia del Santissimo. 

Armadio-Reliquiario 
Oltre al Tabernacolo ligneo, di cui sopra, occorre fare menzione della pregevolissima opera d’intaglio costituita dall’armadio-reliquiario, in noce, che trovasi in sagrestia. Benché questo grande stipo sia anonimo e non si trovi riscontro presso altre sagrestie della Serafica Riforma della Puglia, la disposizione delle masse, i motivi ornamentali, la fuga delle sequenze floreali sulla trabeazione, la delicatezza dell’esecuzione dello scomparto superiore, le pseudopirografie dell’interno, replicate sul Tabernacolo, indicano quasi certamente le stesse presenze e la stessa manifattura dell’altra opera d’arte. E qui si volle combinare la funzionalità di un mobile, costruito per custodire le sacre vesti, con quella di più grandi pretese di un grande reliquiario. Anche questo armadio sembra essere di fra’ Giuseppe da Soleto, il caposcuola degli intagliatori riformati del Seicento. Ma forse, molto probabilmente, il bancone inferiore non gli appartiene. Sempre nel Seicento, i Minori Osservanti della Serafica Riforma di S. Nicolò che hanno avuto dimora a Galatina e hanno officiato in questa chiesa di S. Caterina, hanno altresì apportato delle innovazioni anche nella chiesa. Così, mancando la chiesa di uncoro, questo viene costruito in legno, in noce finemente lavorato e intarsiato, e viene collocato nella terza campata della nave centrale, addossato alle pareti. Fatto, questo, che ha portato alla distruzione di diverse pitture ed anche al guasto e alla rovina di alcuni pilastri. Oggi, però, tale manufatto è andato distrutto. Ancora una innovazione viene operata dai Padri Riformati nel ’600, con la costruzione di un pesantissimo organo che viene addossato alla parete di sinistra della seconda campata, in alto; con la distruzione di altri affreschi e con la ‘foratura’ di un pilastro per la costruzione della scala di accesso. Anche quest’ organo non esiste più in loco. Vengono poi, in diverse epoche, eretti molti altari di stile in netto contrasto con il rimanente della chiesa. Nella navata di sinistra viene eretto l’altare barocco di S. Antonio; anche il cenotafio di Maria d’Enghien viene trasformato in altare, e lo stesso viene dedicato a S. Francesco. Nel 1721, infine, viene costruito ancora un secondo coro, sempre in legno, da collocarsi nella quinta campata (abside). Gli specchi lignei di questi stalli vengono dipinti da P. Matteo da Noha.

Cenotafi 
Da non tralasciare gli splendidi cenotafi a Raimondello Orsini del Balzo e a Giovanni Antonio del Balzo, siti nella parte absidale della navata centrale, e quello di Maria d’Enghien, collocato invece nella chiesa. 

Considerando distintamente e separatamente la sepoltura di Raimondello Orsini, e dove essa venne effettuata, esaminiamo qui questo cenotafio. Anticamente il monumento aveva una ubicazione diversa. Esso, infatti, era collocato sulla parete di fondo della precedente abside, che è poi l’attuale presbiterio, e cioé in quello che inizialmente era il posto d’onore, alle spalle dell’altare maggiore, di quella chiesa da lui medesimo voluta e costruita. Dovendosi costruire la nuova abside, e cioé l’attuale coro di forma ottagonale, questo monumento venne rimosso e collocato nel luogo dove oggi si trova, in cornu evangeli, rovinando anche alcuni affreschi quivi esistenti. Il cenotafio si presenta, ancora oggi, mutilo nella parte superiore, mandata in pezzi, quest’ultima, da un fulmine il 19 novembre 1867. Due colonne con capitelli traforati, floreali, sorreggono un sarcofago su cui è scolpita l’immagine del principe rappresentato disteso, vestito dell’abito dei frati. Due angeli sollevano una tenda per lasciar vedere la figura giacente sul letto di morte, con la testa ricoperta da un cappuccio poggiata su di un cuscino di stelle. La parte superiore del sarcofago ha una fascia con tracce di una iscrizione, con caratteri gotici, illeggibile. La parte inferiore è formata da una trabeazione scolpita a traforo con leoni alternati a soggetti floreali: al centro, due leoni sorreggono l’arma degli Orsini del Balzo. Sul sarcofago, poi, lo stesso principe è riprodotto nuovamente, in ginocchio, a mani giunte. Sempre in questa parte superiore del cenotafio completano il monumento due colonnine di forma ottagonale, delle quali è rimasta una sola, che sorreggevano un arco trionfale monocuspidale all’esterno e a tutto sesto nella parte interna. Al centro, in alto, ancora una riproduzione dell’arma Orsini Del Balzo, sostenuta da due orsi rampanti. La lastra in pietra leccese riproducente ancora una volta l’arma degli Orsini Del Balzo, che si trova tra le due colonne reggenti il sarcofago, collocata in basso, sembra essere di epoca posteriore. 

Si è già detto che l’erezione della quinta campata, o abside, di forma ottagonale, è stata effettuata per volontà del principe Giovanni Antonio, intorno alla metà del XV secolo. Anche il suo cenotafio, in stile gotico, viene eretto in questa abside, dove occupa per intero la parete del lato posto sul fondo di essa. Il monumento poggia su quattro colonne ottagonali, poggiate su quattro leoni, in pose diverse e con figure tra gli artigli. Quattro capitelli floreali sostengono un architrave che a sua volta sostiene il cenotafio. Sull’architrave sono dipinti quattro stemmi e due ritratti: a sinistra quello di Raimondello, con le lettere P e R, e a destra quello di Giovanni Antonio, con le lettere: P. I. A. Al centro di essa una piccola testa di donna: forse la stessa Maria d’Enghien. Anche la figura del principe Giovanni è rappresentata vestita del saio dei frati, distesa sul sarcofago, con la testa poggiata su un cuscino ricamato. E due angeli sollevano una tenda appena aperta. Sulla cornice superiore, alla fine di un’epigrafe, l’anno 1562; con al centro un medaglione con l’effigie di Anna Colonna. Al di sopra del cenotafio è collocato un tabernacolo sostenuto da quattro colonnine polistili tortili. L’arco, a tutto sesto, è ornato all’interno da quattro fregi recanti ciascuno un mascherone. All’esterno tre acroteri: due angeli con cartiglio, sui pinnacoli laterali, e Gesù benedicente, al vertice centrale. Gli spioventi sono ornati con foglie rampanti. L’arma degli Orsini Del Balzo è sorretta da due angeli in volo. 
Nella chiesa di Santa Caterina esisteva anche un terzo cenotafio, anch’esso molto bello, dedicato alla regina Maria D’Enghien. Di questo monumento rimangono quattro colonne, delle quali, due sono addossate al muro e due sostengono quel che rimane di un antico baldacchino gotico. L’arma posta al fastigio è quella della regina di Napoli. Nel 1700, i Frati, da questo monumento hanno ricavato l’attuale altare di S. Francesco. 

Il tesoro della chiesa 
Del Tesoro della chiesa, costituito anche dai molti oggetti d’arte per la conservazione delle Reliquie, custoditi in cassaforte, si può prendere visione solo di rado. Tra gli altri ricordiamo qui il calice e il reliquiario della mammella di S. Agata, entrambi in argento dorato, e quello del dito di S. Caterina, munifico dono di Raimondello alla chiesa di Santa Caterina. Da non dimenticare assolutamente il mosaico portatile, di arte bizantina, della fine del XII secolo, con la figura del Redentore (misure: mm. 67 x 151; con le tessere di 1 mm circa). 




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Note 
(1) Questa la data di fondazione del complesso Cateriniano che si rileva dallo storico dell’Ordine francescano, Francesco Gonzaga, dall’annalista dei Frati Minori, Luca Wadding, e dal cronista della Regolare Osservanza della Puglia, Bonaventura da Fasano. Francesco Gonzaga, da ministro generale dei Frati Minori, il 23-25 dicembre 1580 aveva visitato S. Caterina. Nel 1587 pubblicò il De origine Seraphicae Religionis Franciscanae eiusque progressibus, dove, nella breve monografia sulla casa religiosa galatinese, aveva registrato che Raimondello Orsini aveva edificato il tempio e il convento "anno Dominicae Nativitatis 1383". Il Wadding, negli Annales Minorum del 1625, e il Padre da Fasano, nei Memorabilia Minoritica del 1656, indicano la stessa data. Questi storici nelle loro indicazioni non riportano documenti, ma l’anno da essi proposto si ricollega alle date delle bolle papali per la fondazione di questa chiesa minoritica. 
(2) Una data diversa da quella dei precedenti storici, per la fondazione della chiesa, viene proposta da Baldassarre Papadia nelle Memorie storiche della Città di Galatina del 1792, dove si afferma che la chiesa di S. Caterina "fu… costruita nel 1391". Egli però non entra nei particolari nell’affrontare il problema relativo all’inizio e al termine dei lavori degli edifici cateriniani, accontentandosi di confermare l’indicazione cronologica che tuttora è incisa sull’architrave esterno della porta di sinistra della chiesa. Dunque, sulla base delle diverse testimonianze, si può affermare con sufficiente sicurezza che intorno al 1383 si può collocare l’inizio dei lavori di fondazione di questa chiesa e che il 1391 segna il termine della sua costruzione. Una tale certezza infatti si rileva anche dall’esame della bolla Pia vota, del 30 agosto 1391, con cui Bonifacio IX, per invitare i Frati Minori Osservanti nel convento e nella chiesa di S. Caterina in Galatina, ci fa sapere tra l’altro che Raimondello Orsini con autorizzazione della Sede Apostolica "construi fecit" il convento e la chiesa stessa. E alla stessa certezza si perviene con l’esame della bolla Annuere consuevit, del 23 aprile 1403, con la quale il medesimo Pontefice aveva provveduto ad esentare dalla giurisdizione, dal dominio e dalla potestà, dell’arcivescovo di Otranto, l’ospedale e il tempio di S. Caterina, che Raimondello Orsini "pro animae suae salute de bonis sibi a Deo collatis fundavit et construi fecit ac utrumque competenter donavit". 
(3) Le più antiche chiese romaniche avevano il quadripòrtico, ridotto poi al nartèce ed in fine al pròtiro. I muri, pertanto, molto spessi non vengono indeboliti da troppe aperture e rare e molto strombate sono le finestre. Le colonne sono sostituite dai pilastri. La volta può essere a botte, a crociera, a vele; e, raramente, in qualcuna più primitiva, a lacunari. La facciata, infine, può essere monocuspidata, con spioventi laterali, oppure tricuspidata, con quella centrale molto più elevata delle laterali.

 



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